martedì 30 giugno 2020

aver fede nel corpo

Arrendersi al corpo vuol dire viverlo, dalla testa ai piedi.
Significa sentire tutte le tensioni muscolari croniche presenti in lui, capire la loro storia e la loro funzione nel presente.
Significa sentire il proprio dolore, la tristezza e il pianto.
Significa essere capaci di protestare per la perdita dell' innocenza e della gioia, e di concederci di essere arrabbiati per questo, senza sentirci in colpa.
Significa, infine, accettare il fallimento di tutti i nostri sforzi per superare i problemi, per farcela, per riuscirci.
Significa aver fede nel corpo perché lui è la dimora di dio, e fidarsi delle sue sensazioni, perché esprimono la nostra verità. Ho dovuto imparare tutto questo prima di insegnarlo ai miei pazienti.
E devo continuare a impararlo, perché il mio Io narcisistico tuttora pensa di saperne di più.
Alexander Lowen, L’arte di vivere

lunedì 6 aprile 2020

A tutti coloro che rispettano il volto dell'altro

A tutti i nietzscheani salgariani, a tutti coloro che un giorno hanno pensato di riscrivere la propria vita, e poi si sono accorti che erano senza carta (e senza metaforico inchiostro). A tutti coloro a cui almeno una volta è venuto in mente di cancellare per sempre la finzione d’esserci. A tutti quelli che vorrebbero scrivere per non dire null’altro che la conoscenza di quanto è sconosciuto. A tutti coloro che scrivono, in vista della verità, una parola che non c’è e forse non ci sarà nemmeno domani. A tutti quelli che scrivendo “domani” si illudono che vi sia la possibilità di iniziare un nuovo corso. A tutti coloro che (non) hanno il privilegio di comprendere il destino. A tutti quelli che hanno compreso che non si esce (e sono comunque
altrettanto vuoti e ignari e tristi) da questo eterno circolo:
Tu sei quel che è il tuo profondo, stimolante desiderio.
Com’è il tuo desiderio,
cosí è la tua volontà.
Com’è la tua volontà,
cosí è la tua azione.
Com’è la tua azione,
cosí è il tuo destino. (Brahadaranyaka
Upanisad IV, 4.5)
E anche a tutti coloro che abitano la sventura di sfruttare il talento altrui senza il freno del dolore. A tutti i mercanti.
A tutti quelli che imbrogliano se stessi indossando una maschera uguale al loro volto. A tutti coloro che rispettano
il volto dell’altro.
L’editore - 2005 Massimo Popolizio Il caso Salgari lettere alla moglie, ai figli e agli editori.

https://www.youtube.com/watch?v=e0-PvK_aID0

mercoledì 1 aprile 2020

What else could April be?

One sort of optional thing you might do is to realize there are six seasons instead of four. The poetry of four seasons is all wrong for this part of the planet, and this may explain why we are so depressed so much of the time. I mean, Spring doesn’t feel like Spring a lot of the time, and November is all wrong for Fall and so on. Here is the truth about the seasons: Spring is May and June! What could be springier than May and June? Summer is July and August. Really hot, right? Autumn is September and October. See the pumpkins? Smell those burning leaves. Next comes the season called “Locking.” That is when Nature shuts everything down. November and December aren’t Winter. They’re Locking. Next comes Winter, January and February. Boy! Are they ever cold! What comes next? Not Spring. Unlocking comes next.
What else could April be?
Kurt Vonnegut, If This Isn't Nice, What Is?: Advice for the Young

venerdì 27 marzo 2020

i Greci hanno pensato in termini di Essere, hanno lasciato cadere il vivere

...) ci sono stati duemila anni di cristianesimo che hanno fatto di tutto per rendere non interessante il testo di Giovanni, a partire dalla traduzione. Nel prologo del Vangelo di Giovanni troviamo scritto egheneto, che significa “avvenne”, e il traduttore si industria a variare questo termine, mentre bisogna conservarlo nella ripetizione che forma un concetto. Si tratta di pensare l’avvento, il rapporto con l’altro, pensare l’esistenza, e dunque si tratta di risorse e di risorse attive. Lo stesso vale per la distinzione fra psyché e zoé; non capisco, pur non essendo cristiano come molte altre persone, che mi si faccia leggere la frase di Giovanni “Chi ama la propria vita la perde” come una formula che non si comprende in francese. Ma se mantengo la distinzione, “chi ama la propria vita” in quanto psyché, il semplice essere in vita, “perde la sua vita”, in quanto pienezza di vita, zoé in greco, allora capisco. E quando al contrario trovo scritto che “chi rinuncia alla propria vita (nel senso di vitale, psyché) si apre alla vita (vivente, zoé)”, allora comprendo e molto bene. Trovo aberrante che si sia conservata una non intelligenza del testo biblico, in questo caso evangelico, mentre in greco la cosa è chiara, netta. È davvero qualcosa di inaccettabile.
François Jullien, pensare il vivere
Contraddizione e singolare

martedì 24 marzo 2020

Che cos’è il tempo?

Edoardo Boncinelli

Che cos’è il tempo?

Il fatto è che non c’è lo strumento, l’organo. Non hai un occhio, non hai un naso, non hai una lingua per sentire il tempo. Hai solo la memoria che, ricollegando certe cose, permette l’invenzione del tempo.

Tra l’altro la parola tempo non c’è in tutte le lingue, effettivamente è una cosa estremamente artificiosa. Mentre prima si favoleggiava di un terzo occhio – si parlava della pituitaria – si è visto che esiste una popolazione di cellule gangliari della retina poche, non piú di una su mille – che invece di vedere misurano grosso modo la lunghezza della giornata di luce.

Il ritmo ce l’hanno dentro le singole cellule. Non solo il cervello, come si pensava, ma le singole cellule, anche le cellule del fegato, hanno un ritmo di ventiquattr’ore.
Però non c’è un marcatempo, non c’è un orologio che ti permetta di dire un giorno, due giorni, tre giorni, quattro giorni. Ti permette solo di scandire un giorno, un giorno, un giorno.

La teoria psicologica del tempo, del presente, del presente dinamico, dice che l’atomo di coscienza dura da un quarto di secondo a venti- trenta secondi, con una media di tre secondi. Noi viviamo il mondo a flash che durano tre secondi.

domenica 15 marzo 2020

worried moon

Mi era capitata tra le mani una poesia di Yeats in cui il poeta irlandese auspicava che tutte le parole che aveva raccolto e scritto aprissero instancabili le ali e non fermandosi mai nel loro volo giungessero alla persona a cui erano destinate; di certo non possiamo sapere con esattezza chi o quanti saranno i destinatari. Ti è mai capitato di andare per qualche mercatino e trovare vecchie lettere, quelle che i rigattieri scovano nelle soffitte per rivenderle come pezzi di antiquariato? Io spesso mi fermo a leggerle e anche se non posso conoscerne i personaggi coinvolti riesco benissimo a immaginarmi le storie - sono un destinatario o un pubblico impiccione che si appropria di parole e quindi ricordi e storie altrui?

Da poco mi sono appassionata alla lettura di racconti chassidici; uno di questi afferma che se le parole espresse non trovano persone capaci di accoglierle queste tornano alla persona che le ha pronunciate e non andranno sprecate; un’altra bellissima storia che mi viene in mente è ambientata nel periodo dei pogrom - in cui gli oppressori gettavano nei roghi i rotoli della Torah insieme a corpi vessati degli oppressi, normalmente rabbini. Si narra che una volta qualcuno chiese al rabbino morente che cosa vedesse: Le pagine bruciano - rispose- ma le lettere volano; si innalzano per raggiungere chi è in grado di leggere in spirito di verità, così come in spirito di verità esse sono state scritte.

Ho l’impressione costante di non avere mai nulla da dire e di usare soltanto delle parole che danno un senso approssimativo alle mie emozioni. Ultimamente mi capita di guardare la luna dalla finestra - si capisce che in questi giorni le interazioni sono limitate - e mi sento come il personaggio della canzone di Cornell, Worried Moon, che guardando la luna chiede di rivelargli quello che lei sai, lei che ha una visione privilegiata (You see further down the road) - anzi, confesso di ascoltare quella canzone in loop, forse è come dice Nick Horny (in 31 songs o in Alta Fedeltà, non mi ricordo più), ovvero che si tende ad ascoltare una canzone all’infinito solo quando si ha bisogno di risolverla: I'm afraid of what's to come / Worried moon Yeah, tell me what you know / Worried moon / You see further down the road

lunedì 2 marzo 2020

occorre rifarsi a un differente principio di intelligibilità che ci immerga «dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana»

Noi, oggi, possiamo ancora dirci poeti?

Nel rispondere a questa domanda bisognerà anzitutto tenere in considerazione che «i fatti umani non possono misurarsi con il criterio di [una] rettilinea e rigida regola mentale: occorre considerarli, invece, con quella misura flessibile di Lesbo, che, lungi dal voler conformare i corpi a sé, si snodava in tutti i sensi per adattare se stessa alle diverse forme dei corpi» 23. In altri termini, occorre rifarsi a un differente principio di intelligibilità che ci immerga «dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana» (SN44, § 331) e riscopra in essa un’ecce- denza che sfugge alle trame del discorso descrittivo e razionale. Per questa via giungiamo a quello che Baldine Saint Girons (parafrasando Freud) ha definito «le mythe scientifique de Vico» 24, mito richiamato di continuo nel corso della Scienza Nuova e inteso a immortalare la soglia tra mondo animale e mondo umano, il passaggio dallo stadio ferino all’animal symbolicum.

Possiamo ancora dirci poeti? All'origine di una risposta vichiana - Premio Nuova Estetica della Società Italiana d'Estetica, a cura di L. Russo, Centro Internazionale Studi d'Estetica, Palermo 2013.