(...)«chiave maestra» della Scienza Nuova di Giambattista
Vico è l’ipotesi secondo cui la poesia fu il fare originario che permise
ai primi uomini di elaborare una propria conoscenza della realtà, di
costruire un proprio linguaggio e di iniziare umanamente a vivere e ad
agire (SN44, § 34) 18. Tale poesia, lungi dall’essere il frutto di un’intui-
zione pura che oltrepassa il sensibile, fu piuttosto un fare concreto che,
rispondendo alla provocazione del mondo 19, proseguì nel tentativo di
dare senso alle cose. Come sottolinea Baldine Saint Girons, la parola
poesia è qui accepita nel suo senso originario di poiesis, «è un “fare”
la cui dignità e la cui ricchezza sfidano la rappresentazione, giacché il
fare della poesia è il fare stesso delle “cose umane”» 20. Dall’origina-
ria esperienza poetica i primi uomini derivarono l’intero sistema della
civiltà: i miti, le religioni, la vita sociale, il diritto, la politica. Sono
queste attività contrapposte all’individualistica riflessione di una mente
pura che, avvolgendosi su stessa come i ragni si avvolgono nelle loro
tele 21, si rivela sterile e svantaggiosa per intendere «la sostanza delle
cose agibili nell’umana vita socievole» (SN44, § 161).
Con una scelta francamente inconsueta, e tanto più azzardata per
i tempi suoi, Vico contrappone all’immagine statica dell’uomo iper-ra-
zionale, la forza dinamica della poesia: «adunque la sapienza poetica,
che fu la prima sapienza della gentilità, dovette incominciare da una metafisica, non ragionata ed astratta qual è questa or degli addottrinati, ma
sentita ed immaginata quale dovett’essere di tai primi uomini, siccome
quelli ch’erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime
fantasie» (SN44, § 375). Con queste parole Vico esprime la convinzione
che il pensiero immaginifico delle origini non fu il surrogato di una
debolezza della ragione, ma fu piuttosto costitutiva e provvidenziale
risorsa congeniale all’umanità nascente. Laddove per noi, oggi, il lin-
guaggio poetico, con il suo carico di simbolicità e metaforicità, resta
confinato in una sorta di torre d’avorio che rifugge l’ordinaria prassi
vitale, all’origine della civiltà esso fu il modo naturale di comunica-
re e di conoscere, intendendo “naturale” nel senso di conforme alla
natura di tali primi uomini. «E per tutte le finora qui ragionate cose
si rovescia tutto ciò che dell’origine della poesia si è detto prima da
Platone, poi da Aristotile, infin a’ nostri Patrizi, Scaligeri, Castelvetri»
(SN44, § 384). Bersaglio polemico di Vico è qui la boriosa concezione
tradizionale che guarda alla poesia come frutto di una dottrina filoso-
fica o di un’ars poetica 22. Di contro, Vico afferma con forza che essa
nacque «per difetto d’umano raziocinio» (SN44, § 384), legittimando
l’ipotesi interpretativa dell’esistenza di un fare poesia non contingente,
ma iscritto nella natura di tali primi uomini come iniziale e costitutiva
possibilità di dare senso al mondo.
Ma se per i nostri antenati la poesia fu «facultà loro connaturale
(perch’erano di tali sensi e di sì fatte fantasie naturalmente forniti»)
(SN44, § 375) noi, oggi, possiamo ancora dirci poeti?
Possiamo ancora dirci poeti? All'origine di una risposta vichiana.
in Premio Nuova Estetica della Società Italiana d'Estetica, a cura di L. Russo, Centro Internazionale Studi d'Estetica, Palermo 2013.
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