C’era il solito muretto del chiostro dove loro due si mettevano a sedere schiena contro schiena, lì si portavano sempre appresso un qualche libro comprato al mercatino dell’antiquariato, reperti semi polverizzati o in fase di ingiallimento e fogli fitti di schizzi. Proprio lì, esattamente in quell’angolo del chiostro dove lei lo stava aspettando, c’erano delle piantine di tarassaco spelacchiate. Sembrò che conoscesse a memoria quel posto e a pensarci bene era per lei una specie di salotto. Andava sempre lì finiti i laboratori, anche da sola, e passava ore ed ore nell’esercizio del disegno delle mani, nella ricerca artistica del riccio perfetto delle labbra o dei profili degli studenti freschi di vita, a prendere nota della intuizioni che apparivano sui loro volti dopo una lezione. Era lì dove Giulia si sedeva, aspettava, dove rielaborava in autonomia espressiva il proprio universo poetico, carica di attenzioni per quegli unici segni di distinzione che si sgretolavano nelle pieghe di un volto. Lì mangiava le arancine o le crocchette che vendevano nella rosticceria di fronte alla Statale, si comprava due vaschette al giorno e se ne andava quando la scorta di fogli terminava, alimentandosi di impressioni da disegnare. Era la sua abitudine e trovarla lì era certo quanto vedere i fiori di tarassaco del prato.
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