lunedì 7 maggio 2018

Nei momenti peggiori mi interrogavo su quali fossero le ragioni che ci spingevano a dedicarci all'arte.

Io vivevo nel mio mondo, sognavo persone defunte e secoli perduti. Da ragazza avevo trascorso ore a ricopiare la bella grafia in cui erano scritte le parole della Dichiarazione d'Indipendenza. La scrittura mi aveva sempre affascinato. E ormai ero in grado di integrare quell'abilità nascosta nei miei disegni. Mi lasciai incantare dalla calligrafia araba; talvolta, mentre disegnavo, estraevo la collana persiana dalla sua velina e la poggiavo di fronte a me. Da Scribner mi promossero dal telefono alle vendite. Quell'anno i libri che vendettero di più furono The Money Game di Adam Smith e L'acid test al rinfresko elettriko di Tom Wolfe, che riassumevano tutto ciò che stava dilagando nella nostra nazione. Io non mi ritrovavo in nessuno dei due.

Avevo la sensazione di essere slegata da quello che si trovava all'esterno del mondo che Robert e io avevamo creato. Nei momenti peggiori mi interrogavo su quali fossero le ragioni che ci spingevano a dedicarci all'arte. Per chi? Stavamo forse vivificando Dio? Oppure parlavamo a noi stessi? Qual era il fine ultimo? Permettere che la propria opera finisse ingabbiata nei grandi zoo - il Modem, il Met, il Louvre? Bramavo onestà, ma scoprii disonestà in me stessa. Perché dedicarsi all'arte? Per realizzazione personale, perché l'arte valeva di per sé? Aggiungersi alla sovrabbondanza che già circolava sarebbe stato come indulgere verso se stessi, a meno che non si fosse stati capaci di offrire illuminazione. Spesso mi sedevo e cercavo di scrivere o di disegnare, ma la febbrile attività delle strade, unita alla guerra del Vietnam, svuotava di senso i miei sforzi. Non mi identificavo nei movimenti politici; avevo cercato di prendervi parte, ma mi ero sentita sopraffatta da un'ennesima forma di burocrazia. Mi domandavo se qualcosa di ciò che stavo facendo avesse un valore.

Just Kids, Patti Smith

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