Stavo per dire ad Andrea di quanta ansia mi metta scrivere della mia vita personale sapendo che da un po’ di tempo ci sono persone che regolarmente leggono le scemenze che scrivo. Poi mi sono dimenticata dell’ansia dello scrivere per ricordarmi di quella che mi viene quando entro in libreria -ed io entro almeno due volte al giorno in libreria, giusto per capire se è uscito qualcosa di nuovo tra una pausa e l’altra. Ogni tanto mi inacidisco, quando leggo pagine scritte male mi domando perché certi libri vengano pubblicati, ma quando mi capita la frase perfetta, un linguaggio ben ritmato, un uso ben cadenzato delle parole, il sentimento immediato è di solito una simultaneità di riverenza e senso personale di inadeguatezza e mi chiedo: ma io cosa avrei da proporre? Allora mi imbarazzo silenziosamente davanti al mondo che ignora i miei sogni e avanzo comunque un sogno di timidezza.
Ho provato più volte a lasciar perdere la scrittura, ma non saprei neanche quanti secondi siano passati tra una meditata rinuncia e una nuova ripresa.
Quanto mi lusingano le speranze sospese dei personaggi rimasti congelati in un atto di vita immaginata! Loro non chiedono nulla, non si ribellano, scivolano dietro ad ogni lettera. No, non potrei abbandonarli senza portarli alla fine della storia.
E poi lì, nelle scrittura, quell’azione che vive nel presente (o del presente?) e si costituisce a memoria eterna…
La libertà di scrivere per se stessi; la libertà di non dover tenere ad ogni costo una coerenza semantica; al tempo stesso la necessità di essere una memoria storica.
Giorni fa cercavo foto mie di dieci anni fa e in un atto di paleontologia ho ritrovato e letto delle e-mail del 2006. Ho provato tenerezza per quella persona che scriveva con fervido entusiasmo di letteratura, di viaggi sognati (sempre fatti), così rilucente di ideali e ottimista. Chissà se vivevo davvero a cuor leggero così come mi sono immaginata. Probabilmente no, sono sempre stata una persona inquieta.
Penso adesso al libro…L’unica azione vincente, rimanendo coerente ai miei sogni, è quella di portare Filippo, il mio personaggio maschile, di fronte a Giulia un’ultima volta. Che dio gli porti fortuna, inshallah.
Il mio problema è questo, oltre all’ansia per tutto, ai giri a vuoto per le librerie, alla ricerca senza posa dell'Assoluto perché perfetto-non-è-abbastanza, mi sento in dovere di dare vita a dei personaggi. E anche di non far fare loro troppe figure. Con la massima sincerità, li porto davanti a quei pochi disgraziati che leggono di loro: dopo una vita a tifare per i personaggi dei libri che ho letto, a sperare di incontrarli per caso nel mondo, a diffidare di chi mi ricordava un qualche personaggio odiato, l’appello dell’arte mi fa sentire terribilmente obbligata a rispondere alle sue lusinghe (che sono continue) e piuttosto che lasciare che i miei personaggi vaghino ininterrottamente per le connessioni neurologiche della mia testa, do loro una dignità di esistenza. Lo trovo giusto, forse un po’ impegnativo, ma giusto.
Bisognerebbe capire adesso come farà Filippo a trovare Giulia. Con tutta la sua nobiltà d’animo, riuscirà di sicuro a trovare le parole da dire- ma lei intanto dov’è finita?
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