mercoledì 31 ottobre 2012

Esercizio.


Lui, dritto, contro lo stipite dell’uscio; lei, seduta, e tra le sopracciglia la piega di chi è concentrato in una riflessione; testarda, tardava a rispondergli.
-e dove andrai
- dove vuoi che possa andare?
Beatrice voleva sembrare il meno sarcastica possibile, il suo sorriso, era amaro; lui, dal quel tono, che gli suonava canzonante, dagli occhi, lucidi, come quelli di ha riso troppo, dal terrore di non vederla più, era immobilizzato; in tasca, stringeva un portafortuna; lei, non poteva conoscere l’autentica natura di Andrea, né di quel suo atteggiamento,glaciale, impenetrabile, fermo come la pietra, sembrava stesse fronteggiando un nemico. Sarebbe scoppiata a piangere, e anche se la sua natura orgogliosa dava forza al contegno che voleva, sentiva che gli occhi potevano tradirla.
Andrea guardava altrove, fuori dalla finestra nevicava; aveva una buona scusa per fare altro, pensò, reggere quel tono era sufficiente, davanti ai suoi occhi avrebbe ceduto.

Silenzio.


Pensiero, tu che invochi un mondo, che vedi quattrocento lune splendenti, tu che agiti, commuovi, che alle budella dei miei stati irrequieti del cuore, tiri e scuoti nervi, dimmi quali corde, che mi sembrano simili a contrabbassi invasati, suonano sotto al cielo, sotto agli astri, so che chiedono di farsi sentire: io devo trovarle.

Chi suona senza aver toccato i fili del pensiero, sa riconosce la melodia, e forse, sarà capace di riprodurla in prosa per farne un rapporto fedele, oppure, sotto ad altri nomi o vie, troverà il modo di suonare, ancora; come farà a trascrivere la musica anche da lucido, se il rapimento delle parole, del suono, del pensiero, è soltanto un ricordo di quel cedimento dei nervi che ha condotto all'opera più pura del suo pensiero?

lunedì 29 ottobre 2012

Parenti


C’è più di una vita interiore ad essere vero, pungente e dignitoso per lei; lei ha trovato altro con cui sostituirvi, altri affetti. Lei non avrà pungoli di nostalgia per voi, e nemmeno le sue angosce, i suoi battiti, niente, è dedicato a voi, voi, persone che dei suoi sogni non avete chiesto nulla- nulla. È forse vero che ora, ora che l’avete trovata, pensate che saper ancor leggere il suo nome sia la cifra mnemonica degli anni che avete perso, che nei suoi occhi si possa leggere tutta una vita? A voi appartiene una certezza che non sapete chiamare speranza, lei la chiama menzogna, in verità è limitatezza, sappiate, la vostra è ottusità.

Per lei, voi siete un'ombra, che a tratti spaventa quanto l’ignoranza, e la casa
che ha scelto di avere intorno, ha più verità di voi, la vita esteriore che passa è più presente di quanto non siate mai state voi per lei.

In mezzo ai compagni della sua vita, lei può anche sprofondare in se stessa, senza avere timore della vostra dilagante invadenza; le vostre, non sono domande, sono incursioni, la sua anima, a voi, non è dato conoscerla, e le domande, e le voci che farneticate sul suo conto, sono della menzogna di cui voi vi nutrite tutti i santi giorni, e più che trasportavi verso lei, non fate che sprofondare in voi stessi, in pozzi profondi e neri, ricolmi di ignoranza, dove solo le domande hanno un ritorno- voi prendete per conoscenza l’eco stesso delle vostra invadenza.

The day I tried to live


Neanche per un’ora al giorno il mondo era sempre lo stesso, nulla le era attuale, o effettivo, solo un’idea di regno le perdurava in testa e lo descriveva imprimendo lettere magiche, lettere con cui scongiurava crisi, soperchierie e fortissimi fiati di vento. Con quelle lettere, affrancava l’anima, fermando il corpo, affinché rimanesse lì, volando senza partire, a scrivere.

Lunedì.


I libri, intanto, erano pronti e lei allungava gli occhi, quegli occhi che avevano passato l’estate a guardare il mare, e su pagine e pagine, a scrivere lettere che alla lunga sembravano senza senso quasi, e girando appena un poco il polso, le pareva di ricordare come si nuotasse, ma non erano pesciolini, era la penna che guizzava, ed anche l’occhio ogni tanto si perdeva, per la stanchezza. Eppure era solo lunedì.

domenica 28 ottobre 2012

Pensieri come rondini, come fondali.


Le rondini, a volte vanno al nido, volano tutte intorno alla torre, avvolte, come animate, in fasce argentee e spettacolari,e  i giochi di luce, entrando nel petto, penetrano pensieri;  e come se  venissero da un mondo incantato, così si dissolvono, in sfumature,  falò che i fondali fanno sul mare insieme ai pesci in traversata.

La prima bora.

A loro, che erravano cantando tra rovi e spine di rose, all'oro dei suoi capelli, riccissimi, e la sua voce, argentina, giunsero flutti e fiati di vento, che come ghiaccio, era una fitta raffica, era come smarrire la propria voce cadendo nell'acqua.

venerdì 26 ottobre 2012

Lectio Magistralis, Rovatti, 26 ottobre, Trieste.

Filosofia e Scrittura alla lectio magistralis di Rovatti, di questa mattina, 26 ottobre 2012. Quando il prof ha detto "Non c'è mai in scena l'io come personaggio..E se in scena c'è il soggetto che scrive..è un soggetto doppio, triplo" ho guardato verso il cielo, ringraziando. Quando faccio leggere Giulia, il racconto a cui mi dedico da due anni, alcuni lettori credono che abbia proiettato tutta me stessa in quel personaggio, e la conclusione che lei sia io viene espressa come indubbia. Ebbene, no, io non sono lei; al massimo, Giulia è un'estensione fantastica delle mie congetture sul contingente. Anzi, Giulia è Giulia.
"Lo scrittore si libera dall'invasività dell'Io" Grazie prof, mi ha risollevato. E mi sono rimessa, con rinnovata voluttà, ad occuparmi del mio personaggio; a dedicarmi a quello che amo; a distanziarmi da me stessa.

giovedì 25 ottobre 2012

Tre anni a Trieste.


Tre anni a Trieste. E fin dal primo ingresso nella città, fui meravigliata dal freddo, dai palazzi, dal liberty, dal profumo di sapone, dai viali immensi, e dal vento, che come le grida proveniva improvviso da ogni parte, e mescolato alle onde del mare mi diede subito da capire che non vivevo più tra i boschi, che non avevo più il lago di Como vicino.
Trasferitami in condominio, sulla soglia della porta-finestra in via Giulia, mi trovai a vivere in uno spazio ridotto, a pensare con abbandono ai boschi, ai gatti, ai cani, a trovarmi davanti un frequentatissimo kebab, a dormire sentendo i vicini di casa che russavano e che parlavano anche nel sonno, e in sloveno, per giunta.

-Simo, sono tre anni esatti che vivo a Trieste
-E in questa casa?
-Due
-Hah
-Già
-E chi ha fatto la freccetta con la cartina per le canne?
-la coinquilina di prima.

Grazie coinquilino, mi fai ricordare del primo anno in via Vasari, periodo vissuto con le due ingegneri; ricordo delle tastiere di Giulia, delle canne e del sarcasmo di Elisa, e mentre scrivo, mi abbandono senza testimoni al mio leggero sogno.
In verità, non è sogno che dovrei provare, ma ricordo.
Mia madre, da quando abbiamo riallacciato i rapporti, se di rapporti si può parlare, indovina e teme il peggio, e cioè che dallacrisinonseneescepiù e che forse, farei bene a pensare all’estero. Al momento, silenziosamente, festeggio i miei tre anni a Trieste, in uno spirito di sogno leggero che porta a scrivere.

Forse, tre anni fa ho preso la via di casa venendo a vivere qui; quando penso alla casa, continuo ad immaginarmi la stanza di Como,a sognare i miei gatti che dormono in cucina, ma è in via Vasari che faccio ritorno la sera, è nel mio letto di Trieste che mi risveglio.
E Simone, in cucina, che mangia lo yogurt sloveno e gioca con la freccetta fatta con le cartine delle canne, che placido lascia le impronte di pittura per terra, e il segno giallo nella tazza da the, interrompe le mie preoccupazioni sul lavoro, sul futuro.  

mercoledì 24 ottobre 2012

Scrivere


Scrivere, arte o esercizio che sia, implica disciplina, applicazione, dedizione, amore; riprendo il blog. Marta Zacchigna mi ha esortato a parlare, Roberto Srelz a continuare. Che dire, mi sono presa una pausa o aspettavo di avere qualcosa da dire; forse, pensare che avrei avuto qualcosa di mio da leggere o da far leggere mi ha sedotto più di qualsiasi incoraggiamento esterno.
Le parole conferiscono immortalità al pensiero, ma non è all’eterno che ambisco; l'appello che faccio all’infinito è per chiedere un dialogo; quando possibile, vorrei interazione con te, te che leggi. Sarebbe bello.
Scrivo per vedere come resisto alle furie del mio spirito e agli azzardi del vivere. Chi sa che non sofistichi una dimensione strategica nello scrivere, e che da lì trasponga una grandezza espressiva anche nel mio quotidiano- nel parlare, nel vivere; ho necessità di conferire un nuovo ordine ai giochi del pensiero che per la ricchezza dei mutamenti del tempo, degli eventi, dello spirito, mi sfuggono. Auspico incontri straordinari, e schemi di apertura mentali innovativi. E forse, ho bisogno di te.

Settembre 2012

Al fanciullino che dimora in me, che ha disperato bisogno di incanto ho dato impercorribili scale che né scendono né salgono e pare che scale non siano; alla parete ho dato i tappeti persiani di missioni passate e i gatti, che gatti non sono, abitano solo tele, anch’esse, di epoche remote; in quei tempi, pensavo che il fanciullino fosse disperso per cime, e che il mio infallibile spirito d’intuizione si fosse recato a cercarlo senza mai reperirlo, senza mai tornare lui stesso. Ed ora, tra i cristalli che volteggiano nei miei occhi, senza che l’argento sia giunto, inizio a vedere la depauperazione dei miei stessi pensieri. Senza accorgermene, avevo lasciato piazze, biblioteche, scuole, treni, caffetterie, sale da ballo, scatole da aprire, senza il segno del mio passaggio; e loro invece, i miei luoghi, mi cercavano, mi urlavano, ma io, che attendevo il ritorno del mio spirito non mi ero accorta che dimorava con me, ero io l’ombra, mi sentivo come un corpo nel silenzio del mezzogiorno.

Laura


Presto, avremo il potere di ammirare nelle nostre opere l’eccellenza che ci proponiamo. Ora, patiamo gli impedimenti dei nostri spiriti, dell’epoca, dell’ottusità di alcuni e della debolezza di tanti; ma vedi, ci si può frapporre terra, mare e ottusità, che non faremo cenno di interesse né renderemo degno di concetto di interesse quello che eccellenza non è. Del tuo valore, io vedo già la matrice, agli altri rimarrà da interpretarne il segno; ma ci arriveranno, un giorno, lo so.
Ogni nostra opera, di musica, di disegno, o di poesia, dettata da un intento qualsiasi dello spirito, non si giudica dalla qualità della forma, di per sé incommensurabile, a meno che non sia una patacca evidente, quanto dall’effetto che produce nell’animo di chi legge.
Dimmi, amica mia, amico mio, in che modo possiamo sortire quell’effetto di eccellenza che il cuore e l'immaginazione merita di penetrare quando guarda?