venerdì 25 ottobre 2019

Chi si occupa più dei momenti?


Uno dei momenti più interessanti dei boschi di qui sono le mattine d’autunno, quando ogni rugiada lusinga a camminate nei boschi e i riflessi che lucono dal sommaco promettono un miracolo. Quando la giornata comincia, quel miracolo, quell’incastro di carminio, scarlatto e corallo mi piace assisterlo dall’interno, capitare tre le falde; e poi immaginare che tra quelle frasche in primavera scorra un debole verde. L’aria è tagliente, perché sgusciando dal nord si chiude tra le doline come in uno scrigno. Cammino intorno all’anello, tra avvallamenti e alberi ambrati che si afferrano saldamente alla terra dell’altopiano forte e brullo; da qui non vedo più la città con il mio malinconico mare orlato di barche, ma macchie di cerri, lecci e altre piante che non conosco. Tra i residui di terra rossa giacciono le prime foglie disseccate dove i due corvi abitudinari delle mie passeggiate spiccano di nero camminandoci in mezzo. Dicono vi siano anche caprioli ma io non li ho ancora visti; assisto al passaggio di cani addomesticati che ciondolano nel percorso dell’anello. Poi studio quella luce, quegli istanti, quei momenti. Chi si occupa più dei momenti? Probabilmente nessuno. 


giovedì 24 ottobre 2019

Questa persona è solo allo stato di fantasma


Io: -Rob, non so perché questa persona mi abbia cercato e legga un blog dove non c’è più nulla.Non capisco chi sia né perché mi legga.


Rob: -Un mazzo di rose rosse arrivava sempre al Mission Control Center quando si avvicinava il giorno del lancio dell’Apollo, con una carta che semplicemente aveva scritto  "da un ammiratore". Alcuni venivano dal Canada, da Dallas e dagli Stati Uniti orientali. I controllori di volo la chiamavano "La signora dei fiori". Successivamente hanno ricevuto una carta con solo il nome del mittente: Cindy.


-Quindi non l’hanno mai scoperto?
-Succede. Come quelli che mandavano i fiori a teatro senza rivelare la propria identità. Leggi questo libro. (Mi dà un libro)


-Dimmi un numero!
-settantotto!
-Ora un’altro, per la riga
-otto!
Leggo ad alta voce: - “…c’è sempre una persona a cui ci si rivolge, anche se questa persona è solo allo stato di fantasma o di creatura non ancora esistente. Nessuno ha voglia di parlare dell’amore, se non è per qualcuno. “  .(Roland Barthes – Frammenti di un discorso amoroso, Edizione ET saggi, Einaudi, pag.78)


lunedì 20 maggio 2019

So you mustn't be frightened, dear Mr. Kappus, if a sadness rises in front of you, larger than any you have ever seen

We, however, are not prisoners. No traps or snares have been set around us, and there is nothing that should frighten or upset us. We have been put into life as into the element we most accord with, and we have, moreover, through thousands of years of adaptation, come to resemble this life so greatly that when we hold still, through a fortunate mimicry we can hardly be differentiated from everything around us. We have no reason to harbor any mistrust against our world, for it is not against us. If it has terrors, they are our terrors; if it has abysses, these abysses belong to us; if there are dangers, we must try to love them. And if only we arrange our life in accordance with the principle which tells us that we must always trust in the difficult, then what now appears to us as the most alien will become our most intimate and trusted experience.

How could we forget those ancient myths that stand at the beginning of all races, the myths about dragons that at the last moment are transformed into princesses? Perhaps all the dragons in our lives are princesses who are only waiting to see us act, just once, with beauty and courage. Perhaps everything that frightens us is, in its deepest essence, something helpless that wants our love. 

So you mustn't be frightened, dear Mr. Kappus, if a sadness rises in front of you, larger than any you have ever seen; if an anxiety, like light and cloud-shadows, moves over your hands and over everything you do. You must realize that something is happening to you, that life has not forgotten you, that it holds you in its hand and will not let you fall. 

Why do you want to shut out of your life any uneasiness, any misery, any depression, since after all you don't know what work these conditions are doing inside you? Why do you want to persecute yourself with the question of where all this is coming from and where it is going? Since you know, after all, that you are in the midst of transitions and you wished for nothing so much as to change. If there is anything unhealthy in your reactions, just bear in mind that sickness is the means by which an organism frees itself from what is alien; so one must simply help it to be sick, to have its whole sickness and to break out with it, since that is the way it gets better. In you, dear Mr. Kappus, so much is happening now; you must be patient like someone who is sick, and confident like some one who is recovering; for perhaps you are both. And more: you are also the doctor, who has to watch over himself. But in every sickness there are many days when the doctor can do nothing but wait. And that is what you, insofar as you are your own doctor, must now do, more than anything else.

mercoledì 8 maggio 2019

Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio.

48.
Carissimo Carlo,
12. IX. 1927

ho ricevuto insieme la tua lettera del 30 agosto e l'assicurata del 2 settembre. Ti ringrazio di tutto cuore. Non so cosa ti ha scritto Mario; ho l'impressione che ti abbia troppo allarmato, mentre io pensavo che la sua visita avrebbe contribuito a rassicurare la mamma. Mi sono sbagliato. – La tua lettera del 30 agosto è poi addirittura drammatica. Ti voglio, d'ora innanzi, scrivere spesso, per cercare di convincerti che il tuo stato d'animo non è degno di un uomo (e tu non sei piú tanto giovane, ormai). È lo stato d'animo di chi è in preda al panico, di chi vede pericoli e minacce da tutte le parti, e perciò diventa impotente ad operare seriamente e a vincere le difficoltà reali, dopo averle bene determinate e circoscritte da quelle immaginarie che la sola fantasia ha creato. 

– E prima di tutto voglio dirti che tu e anche gli altri di casa non mi conoscete che ben poco e avete perciò una opinione completamente sbagliata sulla mia forza di resistenza. Mi pare che siano quasi 22 anni da che io ho lasciato la famiglia; da 14 anni poi sono venuto a casa solo due volte, nel 20 e nel 24. Ora in tutto questo tempo non ho mai fatto il signore; tutt'altro; ho spesso attraversato dei periodi cattivissimi e ho anche fatto la fame nel senso piú letterale della parola. 

A un certo punto questa cosa bisogna dirla, perché [ ... ] si riesce a rassicurare. Probabilmente tu qualche volta mi hai un po' invidiato perché mi è stato possibile studiare. Ma tu non sai certamente come io ho potuto studiare. Ti voglio solo ricordare ciò che mi è successo negli anni dal 1910 al 1912. Nel 10, poiché Nannaro era impiegato a Caglia-ri, andai a stare con lui. Ricevetti la prima mesata, poi non ricevetti piú nulla: ero tutto a carico di Nannaro, che non guadagnava piú di 100 lire al mese. Cambiam- mo di pensione. Io ebbi una stanzetta che aveva perduto tutta la calce per l'umidità e aveva solo un finestrino che dava in una specie di pozzo, piú latrina che cortile. Mi accorsi subito che non si poteva andare avanti, per il malumore di Nannaro che se la prendeva sempre con me. Incominciai col non prendere piú il poco caffè al mattino, poi rimandai il pranzo sempre piú tardi e cosí risparmiavo la cena. 

Per 8 mesi circa mangiai cosí una sola volta al giorno e giunsi alla fine del 3° anno di liceo, in condizioni di denutrizione molto gravi. Solo alla fine dell'anno scolastico seppi che esisteva la borsa di studio del Collegio Carlo Alberto, ma nel concorso si doveva fare l'esame su tutte le materie dei tre anni di Liceo; dovevo perciò fare uno sforzo enorme nei tre mesi di vacanze. Solo zio Serafino si accorse delle deplorevoli condizioni di debolezza in cui mi trovavo, e mi invitò a stare con lui ad Oristano, come ripetitore di Delio. Vi rimasi 1 mese 1⁄2 e per poco non divenni pazzo. Non potevo studiare per il concorso, dato che Delio mi assorbiva completamente e la preoccupazione, unita alla debolezza, mi fulminava. Scappai di nascosto. Avevo solo un mese di tempo per studiare. Partii per Torino come se fossi in istato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza delle 100 lire avute da casa. C'era l'Esposizione e dovevo pagare 3 lire al giorno solo per la stanza. Mi fu rimborsato il viaggio in seconda, un'ottantina di lire ma non c'era da ballare perché gli esami duravano circa 15 giorni e solo per la stanza dovevo spendere una cinquantina di lire. Non so come ho fatto a dar gli esami, perché sono svenuto due o tre volte. Riuscii ma incominciarono i guai. Da casa tardarono circa due mesi a inviarmi le carte per l'iscrizione all'università, e siccome l'iscrizione era sospesa, erano sospese anche le 70 lire mensili della borsa. Mi salvò un bidello che mi trovò una pensione di 70 lire, dove mi fecero credito; io ero cosí avvilito che volevo farmi rimpatriare dalla questura. Cosí ricevevo 70 lire e spendevo 70 lire per una pensione molto misera. E passai l'inverno senza soprabito, con un abitino da mezza stagione buono per Cagliari. Verso il marzo 1912 ero ridotto tanto male che non parlai piú per qualche mese: nel parlare sbagliavo le parole. Per di piú abitavo proprio sulle rive della Dora, e la nebbia gelata mi distruggeva.

Perché ti ho scritto tutto ciò? Perché ti convinca che mi sono trovato in condizioni terribili, senza perciò disperarmi, altre volte. Tutta questa vita mi ha rinsaldato il carattere. Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. 

La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l'eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo. 

Ti potrei raccontare qualche aneddoto divertente. Nei primi mesi che ero qui a Milano, un agente di custodia mi domandò ingenuamente se era vero che io, se avessi cambiato bandiera, sarei stato ministro. Gli risposi sorridendo che ministro era un po' troppo, ma che sottosegretario alle Poste o ai Lavori Pubblici avrei potuto esserlo, dato che tali erano gli incarichi che nei governi si davano ai deputati sardi. Scosse le spalle e mi domandò perché dunque non avevo cambiato bandiera, toccandosi la fronte col dito. Aveva preso sul serio la mia risposta e mi credeva matto da legare.

Dunque, allegro, e non lasciarti sommergere dall'ambiente paesano e sardo: bisogna sempre essere superiori all'ambiente in cui si vive, senza perciò disprezzarlo o credersi superiori. Capire e ragionare, non piagnucolare come donnette! Hai capito? Devo proprio essere io, che sono in prigione, con delle prospettive abbastanza brutte, a far coraggio a un giovanotto che può muoversi liberamente, può esplicare la sua intelligenza nel lavoro quotidiano e rendersi utile? Ti abbraccio affettuosamente insieme con tutti di casa.

Nino

Ciò che hai promesso di mandarmi, mandalo appena puoi, perché ne ho proprio bisogno. Spero in seguito di non dover piú ricorrere al tuo aiuto. 

Lettere dal carcere - Antonio Gramsci