giovedì 24 maggio 2018

Giocare con le parole significa semplicemente esaminare i meccanismi della mente

Giocare con le parole come faceva A. da scolaretto, dunque, non era tanto una ricerca della verità quanto una ricerca del mondo come si manifesta nella lingua. Una lingua non è verità: è il nostro modo di esistere nel mondo. Giocare con le parole significa semplicemente esaminare i meccanismi della mente, rispecchiare una particella del mondo così come la mente la percepisce. Analogamente, il mondo non è solo una somma delle cose che contiene. È la rete infinitamente complessa dei rapporti che le collegano. Come per i significati delle parole, le cose acquistano un senso solo mettendosi in relazione reciproca.

Paul Auster, L’invenzione della solitudine

mercoledì 23 maggio 2018

« Le strade sono tutte uguali: non portano da nessuna parte. Alcune attraversano la boscaglia e vi si addentrano. Posso dire di aver percorso strade molto lunghe nella mia vita, ma non sono mai arrivato da nessuna parte. Questa strada ha un cuore? Se ce l'ha, è la strada giusta; se non ce l'ha, è inutile. »
Carlos Castaneda- Don Juan, in Gli insegnamenti di Don Juan. 

lunedì 21 maggio 2018

martedì 15 maggio 2018

Amore per noi stessi e per il nostro destino



“Si chiama amore ogni superiorità, ogni capacità di comprensione, ogni capacità di sorridere nel dolore. Amore per noi stessi e per il nostro destino, affettuosa adesione a ciò che l’Imperscrutabile vuole fare di noi anche quando non siamo ancora in grado di vederlo e di comprenderlo – questo è ciò a cui tendiamo.


Hermann Hesse, “Sull'amore”

lunedì 7 maggio 2018

Nei momenti peggiori mi interrogavo su quali fossero le ragioni che ci spingevano a dedicarci all'arte.

Io vivevo nel mio mondo, sognavo persone defunte e secoli perduti. Da ragazza avevo trascorso ore a ricopiare la bella grafia in cui erano scritte le parole della Dichiarazione d'Indipendenza. La scrittura mi aveva sempre affascinato. E ormai ero in grado di integrare quell'abilità nascosta nei miei disegni. Mi lasciai incantare dalla calligrafia araba; talvolta, mentre disegnavo, estraevo la collana persiana dalla sua velina e la poggiavo di fronte a me. Da Scribner mi promossero dal telefono alle vendite. Quell'anno i libri che vendettero di più furono The Money Game di Adam Smith e L'acid test al rinfresko elettriko di Tom Wolfe, che riassumevano tutto ciò che stava dilagando nella nostra nazione. Io non mi ritrovavo in nessuno dei due.

Avevo la sensazione di essere slegata da quello che si trovava all'esterno del mondo che Robert e io avevamo creato. Nei momenti peggiori mi interrogavo su quali fossero le ragioni che ci spingevano a dedicarci all'arte. Per chi? Stavamo forse vivificando Dio? Oppure parlavamo a noi stessi? Qual era il fine ultimo? Permettere che la propria opera finisse ingabbiata nei grandi zoo - il Modem, il Met, il Louvre? Bramavo onestà, ma scoprii disonestà in me stessa. Perché dedicarsi all'arte? Per realizzazione personale, perché l'arte valeva di per sé? Aggiungersi alla sovrabbondanza che già circolava sarebbe stato come indulgere verso se stessi, a meno che non si fosse stati capaci di offrire illuminazione. Spesso mi sedevo e cercavo di scrivere o di disegnare, ma la febbrile attività delle strade, unita alla guerra del Vietnam, svuotava di senso i miei sforzi. Non mi identificavo nei movimenti politici; avevo cercato di prendervi parte, ma mi ero sentita sopraffatta da un'ennesima forma di burocrazia. Mi domandavo se qualcosa di ciò che stavo facendo avesse un valore.

Just Kids, Patti Smith